Il post di esordio di questo blog partiva dalla
considerazione che l'architettura italiana sta vivendo un (lungo) periodo di difficoltà e soprattutto di poca
visibilità internazionale, dovuta sia alla sua scarsa presenza sul nostro territorio che alla sua difficile riconoscibilità.
Sono finiti
i tempi dell'Accademia (forse anche della militanza politica…) e lo Stato non
decide (giustamente) quale linguaggio architettonico
si debba adottare, ma in molti paesi europei e non solo, al contrario che in
Italia, sembra che gli architetti e il mondo politico, produttivo e culturale
si muovano in maniera almeno apparentemente armonica, contribuendo insieme a
migliorare l'ambiente urbano proprio
attraverso le nuove realizzazioni.
Per questo motivo, pur condividendo in larga
misura le critiche alle “archistar”,
colpevoli di aver spettacolarizzato
eccessivamente la professione allontanandola dalle persone, direi che la cosa
più giusta è valutare l’opera di architettura nel contesto generale, nel suo impatto sulla vita della città e dei
cittadini, a volte anche a prescindere dal suo aspetto formale, almeno quando non sia così “indigesto” da
diventare fondamentale.