L'articolo originale ¿Ruinas modernas? è stato pubblicato dall’architetto Alejandro Hernández Gálvez sul blog
messicano Arquine, di cui è
direttore editoriale.
Dopo averlo letto e aver apprezzato il tema scelto
e molte delle opinioni espresse, ho contattato Alejandro e lui ha accolto con
piacere il mio desiderio di pubblicarlo integralmente su questo blog, dopo averlo io stesso tradotto in italiano.
Gálvez riesce a cogliere, anche se in maniera molto personale, degli aspetti cruciali riguardanti l'architetttura moderna e contemporanea, sui quali credo ogni progettista dovrebbe riflettere con attenzione prima ancora di poggiare la matita sul foglio.
L'articolo con la foto della Ville Savoye prima del restauro |
Durante i due periodi in cui è stato presidente della
Francia, tra il 1981 e il 1995, soprattutto con il pretesto del bicentenario
della Rivoluzione Francese, François
Mitterand ha promosso la costruzione di vari progetti. Il Museo del Louvre si è
ampliato e rinnovato con la piramide disegnata da I.M.Pei e, per svuotare
un’ala del palazzo, Paul Chemetov ha progettato l’enorme edificio del Ministero
delle Finanze a Bercy. E’ stata realizzata la Città delle Scienze nei terreni
dell’antico mattatoio di Parigi, che dopo si trasformerà nel Parco de La
Villette, di Bernard Tschumi, dove è stata costruita anche la Città della
Musica, di Christian de Portzamparc. In un concorso lo sconosciuto
Carlos Ott ha presentato un progetto per l’Opera della Bastiglia che molti hanno
pensato fosse di Meier, il preferito di Mitterand. Un altro sconosciuto ma
danese, Johan Otto von Spreckelsen, ha vinto
il concorso per l’Arco della Defense. Jean Nouvel ha costruito l’Istituto del
Mondo Arabo, mentre sempre sulle sponde della Senna, ma più ad ovest, Dominique
Perrault ha battuto Meier, Tschumi, Koolhaas e Nouvel, tra molti altri, nel
concorso per la Grand Biblioteque de France. Nonostante sia stata iniziata
quando era in carica il suo predecessore Valéry Giscard d’Estaing, il cui architetto
preferito era invece il catalano Ricardo Bofill, gli è toccata anche
l’inaugurazione del Museo D’Orsay, dove l’italiana Gae Aulenti ha trasformato
l’interno della stazione dei treni con un intervento che oggi si vede più
pesante delle macchine che la occupavano prima.
Però non è solo il fatto che l’intervento sembri oggi passato di moda: si vede vecchia, maltrattata, sicuramente per
l’abuso al quale sottomettono l’edifico ogni giorno migliaia di turisti – i
bagni, sempre scarsi e molte volte sottosopra, ne sono la prova. La stessa cosa
succede al Louvre, nonostante gli interventi si siano susseguiti anche dopo la realizzazione
della piramide, che tante polemiche ha creato a suo tempo e di nuovo potremmo
incolpare l’interminabile flusso di turisti che lo percorrono, con la cartina
in mano, cercando l’opera maestra davanti alla quale bisogna farsi una foto – è
inutile provare a vedere la Monna Lisa mentre, fuori da questa sala, altre
quattro opere di Leonardo hanno un pubblico piuttosto contenuto.
Comunque non si possono
incolpare i turisti di tutto. L’Opera della Bastiglia, pur se meno frequentata
da loro, ha comunque resistito male al passare tempo. In questo caso ci sarà
chi incolperà l’architetto, inesperto, o la giuria per essersi confusa
nell’attribuzione. Poi c’è la Grand Biblioteque, con al centro il suo bosco
inaccessibile, che si può solo ammirare attraverso dei vetri che hanno già
perso la loro brillantezza e trasparenza. La Villette e la Città della Musica,
fino a dove immagino arrivano molti meno turisti, si vedono anche loro
rovinate. Per caso Perrault,
Tschumi o Potzamparc, che sicuramente sono stati e sono anche oggi più
conosciuti di Ott, erano anche loro inesperti all’epoca in cui realizzarono
queste opere?
O
qual è il problema di tutta questa architettura che non ha resistito in buono
stato neppure trent’anni? L’architettura moderna – usando il termine in maniera
vaga, imprecisa, più che come stile o ideologia come pura datazione – sembra
che non crei buone rovine. Questo lo sapeva Albert Speer, l’architetto di
Hitler, ma non lo ha previsto Le Corbusier – le foto che ha scattato Victor
Gubbins della Ville Savoye prima del suo restauro sembrano dimostrarlo, sebbene
lui ricordi la rovina con nostalgia. Probabilmente Marsiglia e Chandigarh
saranno rovine migliori. Non so se lo siano anche il Seagram o la Farnsworth.
Qualche volta ho sentito dire che la pittura moderna
esige da parte dei restauratori e conservatori gli stessi o maggiori sforzi di
quella classica, antica. Sembra logico, è quasi darwinista: quelle opere del passato lontano che non hanno avuto le
condizioni per resistere accettabilmente al passare del tempo sono scomparse. Però
ha anche a che vedere, senza dubbio, con le tecniche utilizzate. Gli antichi
dipingevano seguendo tecniche conosciute e sperimentate, il loro apprendistato
era parte di quello che doveva dominare un maestro e si considerava un segreto
essenziale del mestiere. I moderni sperimentano, anche più con le tecniche e i
materiali che con le forme. Facciamo un quadro con pittura di auto e pezzi di
cera, vediamo che succede. Dopo dieci anni e prima di cento il viola diventa
blu e le superfici sono crepate.
All’architettura moderna
e contemporanea le è successa la stessa cosa. Abbiamo scoperto tardi che il
coronamento, che abbandonammo quando abbiamo mandato al diavolo la "venustas" perché
l’abbiamo fatta sedere sulle ginocchia e l’abbiamo trovata amara, ha influenzato
anche la "firmitas", che abbiamo perduto nella sabbia: gli edifici non
cadono, si sbriciolano; la pioggia e la polvere non danno una patina: li
macchiano; e le crepe non gli danno carattere, non li rendono rovine:
(semplicemente) si rovinano.
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