30 giugno 2014

rovine moderne?


L'articolo originale ¿Ruinas modernas? è stato pubblicato dall’architetto Alejandro Hernández Gálvez sul blog messicano Arquine, di cui è direttore editoriale.
Dopo averlo letto e aver apprezzato il tema scelto e molte delle opinioni espresse, ho contattato Alejandro e lui ha accolto con piacere il mio desiderio di pubblicarlo integralmente su questo blog, dopo averlo io stesso tradotto in italiano.
Gálvez riesce a cogliere, anche se in maniera molto personale, degli aspetti cruciali riguardanti l'architetttura moderna e contemporanea, sui quali credo ogni progettista dovrebbe riflettere con attenzione prima ancora di poggiare la matita sul foglio.

L'articolo con la foto della Ville Savoye prima del restauro

Durante i due periodi in cui è stato presidente della Francia, tra il 1981 e il 1995, soprattutto con il pretesto del bicentenario della Rivoluzione Francese, François Mitterand ha promosso la costruzione di vari progetti. Il Museo del Louvre si è ampliato e rinnovato con la piramide disegnata da I.M.Pei e, per svuotare un’ala del palazzo, Paul Chemetov ha progettato l’enorme edificio del Ministero delle Finanze a Bercy. E’ stata realizzata la Città delle Scienze nei terreni dell’antico mattatoio di Parigi, che dopo si trasformerà nel Parco de La Villette, di Bernard Tschumi, dove è stata costruita anche la Città della Musica, di Christian de Portzamparc. In un concorso lo sconosciuto Carlos Ott ha presentato un progetto per l’Opera della Bastiglia che molti hanno pensato fosse di Meier, il preferito di Mitterand. Un altro sconosciuto ma danese, Johan Otto von Spreckelsen, ha vinto il concorso per l’Arco della Defense. Jean Nouvel ha costruito l’Istituto del Mondo Arabo, mentre sempre sulle sponde della Senna, ma più ad ovest, Dominique Perrault ha battuto Meier, Tschumi, Koolhaas e Nouvel, tra molti altri, nel concorso per la Grand Biblioteque de France. Nonostante sia stata iniziata quando era in carica il suo predecessore Valéry Giscard d’Estaing, il cui architetto preferito era invece il catalano Ricardo Bofill, gli è toccata anche l’inaugurazione del Museo D’Orsay, dove l’italiana Gae Aulenti ha trasformato l’interno della stazione dei treni con un intervento che oggi si vede più pesante delle macchine che la occupavano prima.

Però non è solo il fatto che l’intervento sembri oggi passato di moda: si vede vecchia, maltrattata, sicuramente per l’abuso al quale sottomettono l’edifico ogni giorno migliaia di turisti – i bagni, sempre scarsi e molte volte sottosopra, ne sono la prova. La stessa cosa succede al Louvre, nonostante gli interventi si siano susseguiti anche dopo la realizzazione della piramide, che tante polemiche ha creato a suo tempo e di nuovo potremmo incolpare l’interminabile flusso di turisti che lo percorrono, con la cartina in mano, cercando l’opera maestra davanti alla quale bisogna farsi una foto – è inutile provare a vedere la Monna Lisa mentre, fuori da questa sala, altre quattro opere di Leonardo hanno un pubblico piuttosto contenuto. 

Comunque non si possono incolpare i turisti di tutto. L’Opera della Bastiglia, pur se meno frequentata da loro, ha comunque resistito male al passare tempo. In questo caso ci sarà chi incolperà l’architetto, inesperto, o la giuria per essersi confusa nell’attribuzione. Poi c’è la Grand Biblioteque, con al centro il suo bosco inaccessibile, che si può solo ammirare attraverso dei vetri che hanno già perso la loro brillantezza e trasparenza. La Villette e la Città della Musica, fino a dove immagino arrivano molti meno turisti, si vedono anche loro rovinate. Per caso Perrault, Tschumi o Potzamparc, che sicuramente sono stati e sono anche oggi più conosciuti di Ott, erano anche loro inesperti all’epoca in cui realizzarono queste opere?

O qual è il problema di tutta questa architettura che non ha resistito in buono stato neppure trent’anni? L’architettura moderna – usando il termine in maniera vaga, imprecisa, più che come stile o ideologia come pura datazione – sembra che non crei buone rovine. Questo lo sapeva Albert Speer, l’architetto di Hitler, ma non lo ha previsto Le Corbusier – le foto che ha scattato Victor Gubbins della Ville Savoye prima del suo restauro sembrano dimostrarlo, sebbene lui ricordi la rovina con nostalgia. Probabilmente Marsiglia e Chandigarh saranno rovine migliori. Non so se lo siano anche il Seagram o la Farnsworth.
 
Da Arquine - Ville Savoye in restauro

Qualche volta ho sentito dire che la pittura moderna esige da parte dei restauratori e conservatori gli stessi o maggiori sforzi di quella classica, antica. Sembra logico, è quasi darwinista: quelle opere del passato lontano che non hanno avuto le condizioni per resistere accettabilmente al passare del tempo sono scomparse. Però ha anche a che vedere, senza dubbio, con le tecniche utilizzate. Gli antichi dipingevano seguendo tecniche conosciute e sperimentate, il loro apprendistato era parte di quello che doveva dominare un maestro e si considerava un segreto essenziale del mestiere. I moderni sperimentano, anche più con le tecniche e i materiali che con le forme. Facciamo un quadro con pittura di auto e pezzi di cera, vediamo che succede. Dopo dieci anni e prima di cento il viola diventa blu e le superfici sono crepate.
All’architettura moderna e contemporanea le è successa la stessa cosa. Abbiamo scoperto tardi che il coronamento, che abbandonammo quando abbiamo mandato al diavolo la "venustas" perché l’abbiamo fatta sedere sulle ginocchia e l’abbiamo trovata amara, ha influenzato anche la "firmitas", che abbiamo perduto nella sabbia: gli edifici non cadono, si sbriciolano; la pioggia e la polvere non danno una patina: li macchiano; e le crepe non gli danno carattere, non li rendono rovine: (semplicemente) si rovinano.
 
 


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