5 aprile 2012

architetti e riforma Monti

Lo scorso 29 marzo il Consiglio Nazionale degli Architetti ha scritto al Presidente del Consiglio e al Governo una lettera di protesta nei confronti del disegno di legge sulla riforma del lavoro, in particolar modo per la parte riguardante l'obbligo per gli studi di assunzione dei collaboratori a partita iva che lavorino per loro almeno per sei mesi nel 75% del loro tempo. 
Il CNA sostiene infatti: "La struttura media degli studi di architettura italiani - assai piccola, tra due e quattro addetti - riesce ancora a reggere perché si basa sulla cooperazione in team tra titolari e collaboratori con un approccio culturalmente assai distante (????) dal rapporto datore di lavoro/dipendente."
Io aggiungo che in questo "approccio" non ci sono dubbi sul rapporto di collaborazione, a volte paritaria in ambito tecnico, ma dal punto di vista economico e imprenditoriale il titolare ha comunque l'esclusiva, fino a che non si instaura un vero rapporto di fiducia, che però rientra in un discorso "emotivo" e "familiare", che non può essere considerato ai fini di legge. 
Allora, conoscendo questa realtà, come si fa a sostenere con onestà una tesi di questo tipo, se non per difendere la parte privilegiata della categoria, permettendogli di sfruttare l'altra? 
Lo sostengono giustamente, in una lettera congiunta al CNA, il movimento Amate l'Architettura (http://www.amatelarchitettura.com/2012/03/basta-ingiustificata-precarieta-e-inammissibile-sfruttamento/) e il comitato Iva sei Partita (http://nuvola.corriere.it/2012/04/02/lettere-alla-nuvola-la-replica-dei-giovani-il-consiglio-degli-architetti-non-fornisce-dati-reali/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lettere-alla-nuvola-la-replica-dei-giovani-il-consiglio-degli-architetti-non-fornisce-dati-reali), riprendendo le parole del presidente Napolitano: “Basta ingiustificata precarietà e inammissibile sfruttamento, le giovani generazioni, sulle quali grava già un debito pubblico che tende a diventare un fardello insopportabile, devono poter accedere al mercato del lavoro in modo che non siano penalizzate da ingiustificate precarietà o da forme inammissibili di sfruttamento”.
Il quadro è piuttosto complicato e non ci sono dubbi sul fatto che questa riforma metterebbe ulteriormente in ginocchio una categoria almeno in buona parte già in grande difficoltà (la disoccupazione degli architetti, secondo i dati Cresme, in tre anni è più che raddoppiata, passando dal 7,4% del 2008 al 16% del 2010), però ritengo sia più giusto ristrutturare in qualche modo il sistema degli studi di architettura, oggi in buona parte troppo deboli e disorganizzati, piuttosto che proseguire in una deriva di sfruttamento che genera sempre più malcontento e frustrazione, gettando le basi per la nascita di nuovi sfruttatori. Basta collegarsi a Archleaks, uno dei siti più cliccati degli ultimi giorni, per farsi un'idea di quello che succede negli studi di architettura già da molti anni: http://www.archleaks.com/
Si tratta di leggere cose piuttosto sgradevoli e non sono per nulla felice di "sponsorizzarlo", ma è una grande idea e fotografa purtroppo in maniera perfetta la nostra realtà.

2 commenti:

  1. A parte i delinquenti, questi rapporti di oggettivo sfruttamento nascono dalla condizione effimera della professione. Se il fenomeno è ormai sistema vuol dire che c'è un esercito di architetti che non trovano da fare altro che il dipendete-falso collaboratore professionista. Oltre, diciamo pure, a tanti studi apparentemente avviati che chiuderebbero il giorno che dovessero smettere il cosiddetto sfruttamento. Ma questo è cosi strano per un mestiere ormai (in Italia) clamorosamente fuori mercato?
    L'unica riforma è quella che fa tornare i conti. Non credo che si tratti tanto di ristrutturare gli studi di architettura, quanto di ristrutturare gli architetti, il cui ruolo va prima definito e poi difeso per legge. Se tutti fanno tutto, in un paese in cui ,poi, moltissimi fanno prorio da soli,o quasi, parlo degli abusi sanati, a moltissimi dei 150000 non resta che accettare quello che trovano.

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  2. In fondo le due cose, ristrutturare gli studi di architettura o gli architetti, vanno di pari passo. Va da se che sono la "cultura" del Paese e di conseguenza le sue leggi a determinare il ruolo di ogni professionista. Il notaio conta molto di più dell'architetto, anche se non aggiunge nulla al valore dei beni. Ha ancora senso in una società dinamica (e globale)come quella contemporanea?

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