Joseph Rykwert, storico
dell'architettura inglese, ha scritto un articolo dal titolo piuttosto esplicito Ma la critica conta qualcosa? pubblicato su Domus lo scorso aprile.
Proprio nello stesso periodo uno dei critici americani di architettura più influenti, Paul Goldberger, in precedenza al New York Times e vincitore del premio Pulitzer, ha lasciato il prestigioso The New Yorker per andare a lavorare a Vanity Fair.
Paul Goldeberger |
Se poi aggiungiamo ai segnali di difficoltà il fatto che una delle Mostre di architettura più importanti del mondo, la Biennale di Venezia, abbia come direttore dell'edizione in corso non un critico, uno storico o un curatore, ma uno degli architetti contemporanei più famosi e discussi, Rem Koohlaas, che rientra a pieno titolo nel ristretto gruppo delle archistar, il quadro diventa ancora più completo.
Koolhaas - photo fred ernst |
Sono fatti molto diversi, ma probabilmente contribuiscono tutti ad evidenziare le difficoltà che incontra oggi la critica in architettura, soprattutto leggendo le parole e le riflessioni di Rykwert, che giustamente si chiede quanto questa possa apparire irrilevante agli occhi di un architetto di riconosciuta fama mondiale e dei suoi committenti e ammiratori.
Il discorso critico pare ancor
meno rilevante per quegli edifici la cui stravagante massa imbratta oggi
le pubblicazioni del settore...
Enormi vele spiegate e
gigantesche caffettiere, cetrioli e porcospini sembrano presentarsi al
critico come entità che lo sfidano a dipanare matasse disperatamente ingarbugliate...
Eppure, dinanzi a tali
rompicapo, il critico non deve togliere il cappello di pensatore, ma calcarselo
bene in testa, fare attentamente i conti con quelli che sembrano apparire degli
aspetti dozzinali in architetture apparentemente straordinarie: in che
modo, per esempio, è risolto il contatto tra edificio e terreno? Come
sono gestiti gli ingressi pedonali e in che modo sono distinti dall’accesso
per i veicoli? Com’è organizzato il transito del visitatore verso i
piani superiori? E qual è il rapporto tra queste zone di circolazione e
il passaggio dagli spazi pubblici a quelli semi-pubblici? Un vero
critico dell’architettura, per capirlo, deve leggere una pianta con
pervicace puntiglio.
E ancora: qual è il legame
tra la struttura e l’aspetto materiale dell’edificio, e come si
configura il rapporto tra la più stravagante delle configurazioni e il modo in
cui la costruzione si colloca nel suo ambiente? E qual è, ammesso che ci
sia, il contributo che essa dà alla composita immagine della città della
quale è un componente? Il critico è inoltre perfettamente giustificato se
indaga come l’edificio sia percepito sia dai suoi utilizzatori sia dal
pubblico in generale, dato che tali reazioni fanno sicuramente parte di
qualsiasi arsenale metodologico...
Sono sempre stato convinto che
il critico debba essere un combattente. Per esserlo, è necessario
naturalmente avere una base da cui operare – non solo quella ovvia di un
quotidiano, di un periodico, di un programma radio o TV o magari di un blog –
da cui rendere pubbliche le proprie opinioni, ma è necessario, più
intimamente, possedere una nozione chiaramente articolata di quello che si
pensa la società debba aspettarsi da chi costruisce le sue strutture.
Infine, il critico deve avere un concetto sufficientemente chiaro delle
aspettative della società, del modo in cui l’architetto può contribuire
o non contribuire al bene comune. Tutto questo va benissimo, ma perché dovrebbe
contare, e per chi? Sul breve termine, l’effetto delle parole di un critico può
anche non essere così ovvio – di certo non per le archistar, che, come le
popstar, non ne sono toccate – per quanto non sia un segreto che alcuni architetti
possano esservi sensibili, a volte anche al punto da minacciare la causa per
diffamazione.
Forse più importante è
l’effetto su quanti commissionano un edificio, che tendono a
considerarsi dei mecenati se non dei benefattori, e così vedono qualsiasi
dibattito su prodotti della loro magnanimità come una maniera di mettere in
dubbio il loro buon nome. Tali rischi non fanno altro che suggerire come le
parole del critico impegnato non siano tutte inutili, e che oltre
qualsiasi risentimento esse possano benissimo promuovere la riflessione
e magari guidare i partecipanti al processo di realizzazione dell’edificio a
cambiare il loro approccio.
Più attivamente, i critici a
volte prendono parte a concorsi e siedono nelle giurie di premi che richiedono
il loro coinvolgimento nelle decisioni progettuali...
Quindi, anche se si vuole essere alla moda e stupire tutti con le forme più originali, non si può comunque prescindere dalle funzioni reali che l'architettura è chiamata da sempre a svolgere per i suoi utenti e più in generale per il funzionamento della città.
Quindi, anche se si vuole essere alla moda e stupire tutti con le forme più originali, non si può comunque prescindere dalle funzioni reali che l'architettura è chiamata da sempre a svolgere per i suoi utenti e più in generale per il funzionamento della città.
Nessun commento:
Posta un commento