In questi ultimi lunghi anni di protagonismo dell'architettura da copertina e delle archistar, gli aspetti riguardanti l'inserimento nella città sono rimasti spesso in secondo piano, soprattutto dal famoso motto di Koolhaas "fuck the contest", che, con l'intento di liberare gli architetti da un pesante, falso e brutto storicismo (leggi postmoderno), ha gettato le basi per un periodo di completa insensibilità nei confronti della città e delle sue regole principali.
L'architetto francese Edouard François è intervenuto con una specie di collage urbano nella periferia di Parigi. L'edificio è nuovo e fa parte di un unico progetto, che l'autore racconta così: Assumendo il fatto che la città è un organismo complesso, abbiamo sovrapposto elementi che si trovano sul posto: villette a schiera alla base, un blocco di abitazioni degli anni '50 nella parte centrale e in copertura case unifamiliari. Li abbiamo organizzati come archetipi da leggere dal basso verso l'alto. La complessità di questo progetto consiste nella sovrapposizione verticale di questi elementi strutturali, muovendo le tre tipologie in maniera indipendente.
Si tratta insomma di una stratificazione falsa, intelligente e ben congegnata, ma piuttosto indigesta. Una provocazione interessante. Ma è giusto "sacrificare" la città per questo? Non dovrebbe essere compito degli artisti far riflettere sulla contemporaneità e le sue contraddizioni?
Anche Herzog and De Meuron hanno lavorato sull'inserimento urbano nell'edificio per la Feltrinelli a Milano, ma con un approccio molto diverso e sicuramente più ricercato. Il cantiere è iniziato di recente e il progetto ha già fatto parlare molto di sè. L'hanno raccontato in molti, soprattutto perchè è la prima realizzazione italiana del duo svizzero.
Uno dei soci dello studio racconta così il progetto: La forma
longilinea, lineare della costruzione fa riferimento, da un lato, alla
tradizione gotica che si esprime in importanti costruzioni della città
di Milano, dall'altro alle cascine che costellano il paesaggio della
Lombardia. Il nostro antico maestro Aldo Rossi considerava queste
strutture lineari il tratto caratteristico del suo lavoro, perciò nel
nostro progetto Feltrinelli per Porta Volta si può trovare anche un
tributo a questo importante architetto milanese della seconda metà del
XX secolo.
Luca Molinari: allievi riconosciuti del “milanese” Aldo Rossi, docenti all’ETH di Zurigo, Pritzker Prize nel 2001, sono tra gli architetti più rigorosi e coerenti all’interno di quel carrozzone mediatico definito “star system”, proprio per la capacità di leggere in maniera indipendente e acuta i contesti e i luoghi in cui intervengono.
Luca Molinari: allievi riconosciuti del “milanese” Aldo Rossi, docenti all’ETH di Zurigo, Pritzker Prize nel 2001, sono tra gli architetti più rigorosi e coerenti all’interno di quel carrozzone mediatico definito “star system”, proprio per la capacità di leggere in maniera indipendente e acuta i contesti e i luoghi in cui intervengono.
Molto interessante l’idea di riprendere nelle forme gli edifici del
tessuto urbano circostante, rimarcata anche dai tagli quasi sempre
obliqui delle “linee”. Il risultato è molto diverso rispetto all'esistente, soprattutto a causa dell'utilizzo del
linguaggio contemporaneo, che privilegia in maniera forse eccessiva il vetro. La ripetizione un po’
ossessiva di un modulo sempre uguale, sembra un po' debole. Per fortuna i bravi architetti migliorano sempre i
progetti costruendoli. Meglio riservare tutta la propria bravura per la realizzazione e lasciare i rendering "troppo" belli agli altri; si evitano brutte sorprese tipiche dei nostri tempi.
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