15 luglio 2013

le colpe degli architetti

C'è chi imputa a noi urbanisti e architetti la colpa di aver creato la periferia, realizzando nelle aree periurbane immeni casermoni-dormitorio, senza servizi e spazi pubblici […]

 
 Gli architetti, noi architetti, abbiamo grandi colpe. Imperdonabili. E la principale è proprio di aver creduto di poter "plasmare" la vita, i gusti, i desideri di chi abita gli spazi che progettiamo. Ottusa presusnzione di onnipotenza che ci ha portato a trasformare utopie personalissime in macigni di cemento armato. Ma è così difficile capire che ogni qual volta ci si accusa di aver generato - da soli - i mostri del degrado urbano non si fa che alimentare questa presunzione? Come se spettasse a noi architetti - chiamati al Riscatto - la soluzione dei mali da noi stessi provocati. Come se non fosse più salutare riconoscere finalmente la marginalità e addirittura l'irrilevanza della nostra azione nella società della moltitudine, nella città dei mille poteri. […] (Stefano Boeri, L'anticittà, 2011)

Se gli architetti "moderni" e i loro discepoli hanno subito e continuano a subire pesanti critiche dall'interno, come quelle sopra citate di Boeri, non si può dire che i contemporanei se la passino meglio. Etichettati ormai come archistars (anche se non abbiamo ancora capito bene quali sono visto che ciascuno di loro respinge l'appellativo sdegnosamente e parla degli altri), vengono accusati di troppo disimpegno e egocentrismo, cioè di aver abbandonato completamente la città a se stessa, accontentandosi solo di condirla con i loro progetti stupefacenti.
Uno dei libri più critici in questo senso è Contro l'architettura di Franco La Cecla di cui ho scoperto e letto recentemente un'intervista sul blog Wilfing architettura di Salvatore D'Agostino.
Non ho ancora letto il libro (diceva bene Troisi in un suo indimenticabile monologo), ma mi incuriosisce e lo farò appena posso; invece di criticare i grandi moderni, critica i contemporanei, quindi è attualizzato, ma è nella "tradizione" di Maledetti architetti di Tom Wolfe e di Dopo l'architettura moderna di Paolo Portoghesi
Dalla scheda del libro: "Mai come adesso l’architettura è di moda... Eppure mai come adesso l’architettura è lontana dall’interesse pubblico, incide poco e male sul miglioramento della vita della gente."
Sono perfettamente d'accordo sull'autoreferenzialità di molte architetture contemporanee, ma lo sono molto meno sulla teoria della loro inutilità. Mi meraviglia che un "sopralluoghista" (bellissima a proposito la definizione) tratti in maniera così "superficiale" il tema del rapporto delle nuove architetture, che sono poi quasi sempre nuovi servizi, con la città e i suoi abitanti. Anche perchè l'inutilità eventuale dipende soprattutto dalla committenza, perchè l'architetto, se non fa il suo mestiere per hobby, lavora per chi lo paga, non per gli ideali o per il partito. 

Insomma è evidente che gli architetti, o comunque molti di loro, fanno autocritica da tempo.
E i committenti, quelli che hanno deciso come sviluppare la città, la fanno?

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